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Perchè
abolire l'iva
“Tanto mi colpì questa frenesia, questa libidine
commerciale in fatto di tabacchi, che quando vedevo qualcuno, uomo o
ombra,
cavare di tasca una sigaretta, non potevo impedirmi di trasalire
pensando: la
fuma o la vende? (Ma indipendentemente dalle sigarette, per tutto
quanto possa
occorrervi di americano spero che non vorrete far torto alla
città di Napoli.
Abbiamo latte, caffè, zucchero, sapone, birra, marmellata,
calze, abiti,
impermeabili, pneumatici, esplosivi, oggetti di igiene intima e forse
anche
l’introvabile originale della Carta Atlantica)”.
Così scriveva, in “San Gennaro
non dice mai no”, Giuseppe Marotta della Napoli del
dopoguerra in preda ad una
“epilessia di commercio”, presto repressa dalla
Repubblica e dalla camorra. In
più occasioni abbiamo chiarito come la produzione dei beni
di consumo nel
“sistema Italia” sia tutta concentrata al Nord e
come al Sud della penisola
spetti, invece, il compito di consumare quanto il Nord produce.
Locatelli,
Galbani, Buitoni, Bertolli, Barilla, Mulino Bianco, Pavesi, Invernizzi,
Vera,
San Pellegrino, Agnesi sono tutti marchi del Nord, esportati al Sud,
che i
consumatori meridionali, ignari quanto ingenui, comprano felici, non
curandosi
che l’intero loro reddito mensile finisca, così,
dalle loro tasche direttamente
al Nord. Ora concentriamo la nostra attenzione sull’IVA,
l’acronimo che sta ad
indicare quell’imposta sul valore aggiunto su ogni fase della
produzione o
dello scambio del bene che il consumatore meridionale paga quando
compra il
prodotto del Nord. Fermiamoci a riflettere e ricapitoliamo: un
imprenditore del
Nord acquista la materia prima per un valore di X euro che
pagherà Y (ovvero X
+ IVA), lavora quella materia prima e mette sul mercato un prodotto del
valore
totale di euro Y (costo materia prima + IVA ) + lavoro sulla materia
prima +
IVA. Se, dunque, l’imprenditore del Nord si assicura un
rientro della sua spesa
IVA, il consumatore del Sud oltre a pagare l’IVA
dell’imprenditore del Nord,
pagherà anche l’IVA sull’acquisto del
prodotto del Nord. Tutto ciò scoraggia i
consumi, si è scritto, ma non è del tutto vero:
“o’ napulitano se fà sicco, ma
nun more!” ed il contrabbando diventa assai più
conveniente. E’ ovvio che
nell’acquisto al Nord di un bene del Nord il consumatore
padano pagherà due
volte l’IVA, così come pagherà due
volte l’IVA il consumatore del Sud che
acquisterà un bene prodotto al Sud. Il “sistema
Italia” però, concentrando la
produzione al Nord, rende irrealistica ogni diversa soluzione, fa
sì che sul
consumatore del Sud gravi l’IVA sia dei prodotti del Sud
quanto quella dei
prodotti del Nord e c’è di più:
nell’acquisto di prodotti del Nord il
consumatore del Sud paga anche il costo dell’IVA sul
trasporto, quindi paga tre
volte l’IVA, e paga pure carabinieri e finanzieri
affinché eseguano i dovuti
controlli. “Tre pacchetti, mille lire”, gridava un
anonimo napoletano 150 anni
fa. Ecco perché diciamo che ogni serio movimento o partito,
anche lontanamente
regionalista, debba non solo promuovere l’acquisto esclusivo
di prodotti del
Sud, ma chiedere anche l’abolizione totale dell’IVA
sulla produzione dei beni
nostrani, in modo da favorire l’industria ed il mercato
locale.
Angelo
D'Ambra 16/01/2011 |
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